Intervista: Alessandro Taverna “Io, pianista antieroe tifoso dell’Inter e della Formula 1” (la Repubblica)

Fra gli under 40, è uno dei super bravi il veneziano Alessandro Taverna.

Trentacinque anni, mani fatate che sul pianoforte piroettano, e un curriculum che, anche pescandoci a caso, mostra solo cose da wow. Per esempio Lorin Maazel che lo invita a cena dopo averlo sentito suonare a Castleton (il festival statunitense del direttore d’orchestra) e, tra una portata e l’altra, se ne esce dicendo “dobbiamo fare musica insieme”; o il doppio debutto scaligero con Riccardo Chailly e Fabio Luisi che l’anno scorso, una settimana l’uno dall’altro, lo dirigono nei due virtuosistici Concerti di Liszt, o anche il Quartetto che nella passata stagione lo arruola nel vivaio dei talenti a Villa Necchi e stasera lo promuove nella stagione dei big al Conservatorio. Stesso giorno in cui esce anche il suo cd dedicato a Debussy.

Giornatona: come si sente?

«Emozionato. Quando sali su un palco come quello del Quartetto non sei solo: aleggiano i pianisti eccellenti che qui si sono esibiti. E quindi, in qualche modo, devo fare la mia parte».

L’ha già fatta con Maazel, Chailly e Luisi: l’emozione dovrebbe essere sotto controllo.

«No, no: ogni palcoscenico è diverso e l’emozione è sempre lì».

 Che impatto hanno avuto questi direttori su di lei?

«Sono maestri che ispirano, che ti portano a farti delle domande. E poi mi ha impressionato il loro rispetto: non si pongono nei riguardi dell’orchestra e del solista col dominio di chi impone la propria linea interpretativa. Privilegiano un reciproco arricchimento».

Se è reciproco, qualcosa lei ha dato a loro.

«Oddio, messa così sembra che mi credo chissà chi a dire che uno come me, che anche anagraficamente non ha la loro esperienza, può avere suggerito una lettura diversa, meno stereotipata. Ma è vero. E non perché io sia bravo: perché gente di quel calibro ha l’umiltà di ascoltare gli altri».

Stasera suona musiche molto popolari. A tempo di valzer, viene da dire.

«Sì, ne suono quattro di Chopin più la Barcarola e la Ballata n. 4, e di Brahms le Danze ungheresi e le Variazioni su un tema di Paganini. Pezzi di facile ascolto, ma l’interpretazione è tutto un altro paio di maniche. Specie Brahms: le danze, famosissime per orchestra, sulla tastiera non sono così frequenti oltre a essere davvero difficili da eseguire».

Preparano ai fuochi d’artificio del finale.

«Già, le Variazioni le ho lasciate per ultime, così arrivo scaldato con un po’ di giri di pista e poi mi lancio per la “qualifica”, come si fa in Formula 1».

Più testa o mani nelle “Variazioni”?

«Testa. Il livello tecnico è il primo scalino, il più appariscente. Ma questo set deve lasciare un segno profondo soprattutto nell’interpretazione».

Lei sembra più maturo della sua età.

«Mah, sarà che più passano gli anni e più aumentano le domande sulla società, sull’estetica, sulla figura del pianista. E sempre meno sono le risposte. In questo mondo di eroi, che ha voglia di identificarsi nel giovane che porta avanti le sue idee con l’ardore della “spada”, io mi sento sempre più un antieroe».

Che fa un antieroe quando non suona il piano?

«Nulla di anormale: adoro insegnare e tifo per la Ferrari e l’Inter».

Ahi, nell’ultima di campionato le hanno buscate i nerazzurri.

«Ma noi interisti lo sappiamo: a un certo momento arriva lo stop drammatico, speriamo nella Champions».

 

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