La Repubblica: Taverna, “Suono Emerson e Zappa perché la classica non ha confini”

A tenere botta all’ Auditorium Toscanini fino al 1° luglio sono Frank Zappa e Keith Emerson. E non è un revival per vecchi fricchettoni nostalgici del progressive. C’è anche Duke Ellington con la suite del 1953 “Black Brown and Beige”, dedicata al cammino di emancipazione dei neri. Ci sono Bernstein, Gershwin e Giovanni Sollima che omaggia Kurt Cobain. È il mini-ciclo “Rai Orchestra Pops”: quattro concerti dell’Osn Rai che esplorano lo sfumatissimo confine fra classica, rock, musica per il cinema, crossOver e jazz. Si comincia stasera alle 20 con il direttore d’orchestra americano Ryan McAdams e il pianista Alessandro Taverna. In programma “Dupree’s Paradise” del 1973 e “G- Spot Tornado” del 1986 del grande Zappa, scomparso a Los Angeles nel 1993. Poi la suite per oboe e archi del chitarrista dei Radiohead Jonny Greenwood, composta per il film del 2007 di Paul Thomas Anderson “There Will Be Blood” (Il petroliere). Taverna propone poi il “Piano Concerto n. 1” di Keith Emerson, incluso nel 1977 nell’album “Works Volume 1” degli Emerson, Lake & Palmer. E “Kaintuck”, poema per pianoforte e orchestra del 1935 dell’afro-americano William Grant Still (1895- 1978): figura poco conosciuta da noi ma centrale in quella zona grigia fra musical, classica, folk e jazz che è il brodo di coltura della grande musica americana del Novecento. Tutto mai eseguito prima a Torino. Veneziano, Alessandro Taverna torma a suonare con l’Orchestra Rai dopo il debutto del febbraio 2018. È stato l’ultimo solista ad esibirsi con Lorin Maazel. Nel 2012 il residente Napolitano lo ha insignito del “Premio Sinopoli”.

Taverna, come ha scoperto questo repertorio?

Sono di fomazione classica. ma conoscevo Emerson e sapevo del suo concerto. Forse ce n’è pure un altro andato perduto in un incendio. Tutto è cominciato come una divertente proposta da parte del direttore artistico Ernesto Schiavi: “Svecchiamo il repertorio e proviamo a farlo”, mi dice. Prima Emerson, poi Still. È stata una rivelazione. Il britannico Emerson è piu conosciuto al grande pubblico, Still è un musicista classico a tutto tondo ma con un background spiritualista che lo fa accostare per certi versi a Skrjabin. Farli incontrare e assemblarli è stato molto divertente».

Cosa ascoltiamo nel concerto di Keith Emerson?

Un po’ di Profkovf’ev, Stravinsky, Gerswhin, qua e là fa persino il verso a Liszt. Ma sarebbe riduttivo dire che è una sintesi o un surrogato. Lo stile è idiomatico, Ia scrittura è molto pianistica. Dentro c’è anche l’impronta della polifonia barocca e del contrappunto di Bach. È un po’ come se volesse dirci “Guardate che non sono solo un tastierista rock, conosco bene le tecniche classiche, sono anche altro”. II musicista progressive viene fuori nella parte solistica e nell’orchestra piena di ritmi che usa ogni percussione immaginabile, comprese le campane tubolari».

Il brano di Grant Still invece arriva dal mondo afroamericano.

«Proviene dalla stessa tera di confine fra blues, jazz e classica della “Rhapsody in Blue” di Gershwin. Ma lui, come afroamericano, quella cultura ce l’ha nel Dna e ne raccoglie I’eredità a piene mani. Anche il maestro McAdams è americano e conosce bene quelle atmosfere indolenti: “In Kentucky d’estate fa troppo caldo – dice – e la gente passa le giornate immobile sotto le verande sorseggiando the freddo”. Il mese scorso ho suonato il concerto di Carlo Boccadoro dedicato alla memoria di Duke Ellington. Stiamo scoprendo che quella che una volta sembrava musica meno colta rispetto alla nostra in realtà non è cosi. Farla conoscere è anche insegnare alla mia categoria a non perimetrare e non porsi steccati. In sala 200 persone al massimo: prenotarsi. Tutte le serate sono trasmesse in streaming su raicultura.it e in diretta su Radio3.

Nicola Gallino

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