Review: Genova – Teatro Carlo Felice: Hartmut Haenchen e Alessandro Taverna (Operaclick)

A fronte di tanto ardore, la corda non ha retto e si è spezzata, a una manciata di battute dalla doppia stanghetta finale: così, nel concitato Allegro “con brio”, la spalla è rimasta con il violino fuori uso. Qualche secondo di defaillance, un rapido scambio di strumenti tra primo e secondo leggio, un sospiro di sollievo per il “solo” appena passato et... voilà, Brahms non ha certo di che lamentarsi. Imprevisti a parte, infatti, la sua Sinfonia n.1 ha avuto un’ottima esecuzione e quello di venerdì sera è il primo concerto della stagione sinfonica genovese che veramente meriti lodi sincere, tanto per Brahms (oltre alla Sinfonia, è stata proposta anche l’Ouverture tragica), quanto per Liszt. Non per far torto a chicchessia, ma è chiaro come il sole che l’orchestra del Carlo Felice si trasforma a seconda della “bacchetta”: e quella di Hartmut Harnchen è evidentemente una bacchetta magica. Era da parecchio che, a teatro, non sentivamo suonare così, con questa intensità, con questa energia, con questo affiatamento, tanto che il pubblico si è prodigato in minuti interminabili di applausi e il direttore è stato chiamato – anzi acclamato – a più riprese sul palco. “Mago” lui, quindi, ma anche i musicisti genovesi, che di suggestioni ne hanno da vendere, se ci credono e se sono motivati.

Si è capito tutto da subito, da quel gesto iniziale con cui Haenken ha lanciato l’incantesimo, tanto per rimanere in tema: carisma, precisione, eleganza e quel briciolo di austeritàmade in Germany che, un po’, la differenza la fa. La sua lettura è accurata e profonda, cerca il giusto impasto timbrico e sonoro, guidando il dialogo tra le sezioni e privilegiando (quando è possibile) la chiarezza dei temi e delle frasi pregnanti, attento a non coprirle, e dando risalto ai giochi armonici e ritmici; tiene ben salde le fila del discorso musicale, sempre vivido e vitale, la tensione non crolla mai, in equilibrio tra i momenti di forte intensità e lirismo, come il secondo movimento Andante sostenuto, quelli densi e “cervellotici” del primo Un poco sostenuto. Allegro, quelli solenni e perentori della parte conclusiva, annunciati dal “richiamo” del corno. Un gioco che l’orchestra ha affrontato con prontezza e intelligenza, regalando un suono corposo, omogeneo, senza cedimenti o perplessità, in cui anche le parti solistiche si inseriscono con precisione ed equilibrio.
credits: Marcello Orselli

Abbiamo dedicato le prime nostre riflessioni all’orchestra e non ce ne voglia l’altro grande protagonista della serata, il pianista Alessandro Taverna, che non è stato certo da meno e che ha eseguito il Concerto n. 2 di Liszt in maniera del tutto personale. Torniamo su di qualche riga e riprendiamo il “carisma”, la “precisione”, l’ “eleganza” e pure “quel briciolo di austerità”, anche se qui non è per forza di marca tedesca; e se carisma e precisione si possono intuitivamente associare a una esecuzione di Liszt, non è così per l’eleganza, che non sempre viene fuori, o – meglio ancora – che non tutti possiedono. Taverna sì. Ha forza ma anche delicatezza estrema, un tocco che si presta alle mille facce di questa composizione tutta particolare, che va avanti senza interruzione dietro a umori cangianti, stili differenti, sospensioni, cadenze, divagazioni. Il tutto con una compostezza esemplare, senza dar sfoggio di sé e dei propri virtuosismi (che pur ci sono, è Liszt!), con un suono nitidissimo, quasi cristallino, con la cura delle variazioni dinamiche, con un’agilità delle dita sorprendente e una tecnica che pare, anche solo osservandolo, granitica. Solista e orchestra sono in perfetta sintonia, anche quando emergono i contrasti, sempre si ascoltano, si “parlano”, è struggente il canto del violoncello accompagnato dagli arpeggi del pianoforte, misurati sono il canto “principale” e il controcanto dei vari strumenti che intervengono, uno dopo l’altro, sempre adeguato è il tappeto orchestrale, su cui le note del pianoforte saltellano, si adagiano, vagano.

Tutto funziona. Un’altra magia della bacchetta? Forse. Ma bisogna saperla fare e, soprattutto, bisogna crederci.

La recensione si riferisce al concerto del 16 novembre 2018.

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