Taverna: «Mozart riesce ad essere sempre nuovo»

Il pianista e la Filarmonica del Festival al Grande con il Concerto K467 e 2 gemme di Mendelssohn

Pianista italiano tra i più richiesti della sua generazione, Alessandro Taverna debutta oggi alle 21 al Teatro Grande di Brescia per proporre, accanto alla Filarmonica del Festival diretta da Pier Carlo Orizio, il celebre Concerto in do maggiore K 467 di Mozart. Il programma dell’appuntamento odierno include anche due capolavori orchestrali di Mendelssohn: l’Ouverture «Le Ebridi» e la Sinfonia n. 3 «Scozzese». I biglietti si possono acquistare a un prezzo compreso tra i 18 e i 28 euro. Info: www.teatrogrande.it. Nato a Portogruaro nel 1983, Alessandro Taverna è stato tra i finalisti di prestigiosi concorsi quali il Leeds nel 2009 e il Busoni nel 2011. Ha un repertorio molto ampio, in cui Mozart occupa un posto particolare. «Ogni volta che mi avvicino a questo autore – spiega – mi capita di scoprire qualcosa di nuovo. La musica di Mozart ha più di duecento anni, eppure la sua perfezione non è ancora stata superata. Amo il Concerto K 467 fin dai miei primi anni di studio: ricordo che è stato il primo pezzo mozartiano per pianoforte e orchestra di cui ho acquistato la partitura».


Taverna: del Concerto K 467 non possediamo le Cadenze di Mozart: come ovviare a questo problema?
Disponiamo di numerose cadenze scritte da illustri pianisti e compositori, dunque non c’è che l’imbarazzo della scelta. In ogni caso, a me piace cambiarle spesso. Per esempio, l’anno scorso ho ripreso le Cadenze di Alfred Schnittke, ma in quest’occasione a Brescia vorrei proporre quelle composte da Salvatore Sciarrino.
Ci può raccontare com’è nata la sua vocazione musicale?
È una passione sbocciata in tenera età. A quattro anni suonavo a orecchio. Non provengo da una famiglia di musicisti: mi sono appassionato ascoltando concerti alla televisione. A sei anni ho avuto le prime lezioni ufficiali. Non avevo ancora l’idea di dedicarmi al pianoforte come professione, ma ho capito che senza quello strumento sarei stato male.
Tra i miei maestri ricordo Laura Candiago e Franco Scala. Ho anche studiato materie scientifiche, tanto che all’Università mi sono iscritto a ingegneria, ma questo interesse è sempre stato una sorta di hobby rispetto alla musica.
Trova punti di contatto tra musica e ingegneria?
Penso che un’impostazione scientifica sia utile nello studio dello strumento e soprattutto nella comprensione della tecnica pianistica, anche se poi sappiamo che la musica è testa e cuore nello stesso tempo.
Per un interprete della Sua generazione che cosa rappresenta il mito di Arturo Benedetti Michelangeli?
Non ho potuto ascoltarlo in concerto, ma conosco bene le sue registrazioni. Mi ha sempre colpito la sua integrità di artista:credo che per ogni pianista Michelangeli resterà sempre un termine di paragone imprescindibile.

Marco Bizzarini (Il Giornale di Brescia)

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