Fra gli appuntamenti più interessanti del prossimo Festival Pianistico, c’è quello del 3 maggio, al Teatro Grande di Brescia, quando Alessandro Taverna accosterà musiche di Clara Wieck a pagine di Schumann e Brahms. Al 35enne pianista veneziano abbiamo quindi chiesto i motivi di questa scelta.
In che direzione andrà l’esecuzione bresciana? Cercherà di evidenziare cosa accomuna i tre autori, oppure preferirà trattarli singolarmente marcandone le differenze?
Pur muovendosi tutti su un terreno comune – quello del Romanticismo – credo che siano più le differenze a caratterizzare il solco sul quale si orienterà la mia interpretazione. Soprattutto per quanto riguarda l’accostamento tra Humoreske e Variazioni su un tema di Paganini, con le ultime che segnano quasi una sintesi della ricerca pianistica di impronta virtuosistica e la prima che, come compendio dell’ala più nobile ed eletta del Romanticismo tedesco, esprime al sommo grado il « lustig im Leid » wagneriano, cioè l’inscindibile congiunzione di gioia e dolore, come lo stesso Schumann scrive a Clara nella lettera che annuncia l’opera e come già aveva fatto nell’esergo che introduce l’altro grande capolavoro che sono le Davidsbundlertanze. In questo « triangolo » a Clara viene offerto nel programma il ruolo di apripista, oltre che di comune denominatore, con i due Scherzi op. 10 e op. 14 (è lei, infatti, eccellente pianista, ad essere il destinatario implicito delle difficili Variazioni su un tema di Paganini, che però , a differenza delle Brahms-Handel, non eseguirà mai)
Che posto hanno questi tre autori, ed altri meno frequentati quali ad esempio Field, nella sua formazione musicale e nelle sue scelte di repertorio?
Proprio di recente ho eseguito alla National Concert Hall di Dublino il Concerto n. 6 di John Field: in effetti per me e` stata la prima frequentazione di questo autore, paradigmatico dello stile Biedermeier e vero « eroe nazionale » irlandese, come molti spunti presenti nella sua musica ci suggeriscono. Devo dire però che, studiando con Piero Rattalino, avevo approfondito altri aspetti di questa stagione compositiva (è con lui, in particolare, che ho fatto la conoscenza di Hummel e di Moscheles). Diverso è il caso di Mendelssohn, che in effetti rappresenta un deciso superamento del virtuoso ed elegante modello Biedermeier e a cui mi sono avvicinato più spesso, cercando anche di percorrere strade meno battute, quali la sua terza sonata in Si bemolle maggiore (una specie di omaggio in miniatura alla Hammerklavier beethoveniana) e i Preludi e fuga op. 35. Guardando anche al mio repertorio, mi sembra comunque che nel sentire del pubblico e dei pianisti la stagione del grande Romanticismo tedesco, che inizia proprio con la crisi del Biedermeier negli anni ’30 dell’Ottocento, abbia decisamente preso il sopravvento sulla precedente. A Schumann e Brahms sono arrivato un po’ più tardi, forse perché mi sento istintivamente legato di più a un pianismo di impronta lisztiana e a un repertorio che guarda con una certa predilezione anche al Novecento, o anche per un certo « pudore » giovanile nell’esibire aspetti più personali del mio carattere e della mia interiorità : è un po’ come se suonare queste pagine diventasse una seduta di psicanalisi aperta al pubblico!
Nella storia dell’interpretazione si sono succeduti pianisti definiti specialisti di un determinato autore o periodo ad altri onnivori che hanno amato spaziare tra epoche e stili diversi. Visto il suo repertorio attuale, si direbbe più vicino a questa seconda « tipologia ». Quale è il suo approccio nella scelta di un programma?
Mi è sempre piaciuto leggere tanta musica, e ancora adesso cerco sempre di non restare fermo soltanto su un repertorio ma di provare a declinare me stesso secondo direttrici diverse, anche di interpretazione, forse a volte anche lontane dalla mia indole naturale. Di qui alla scelta dei programmi subentrano comunque variabili e contingenze che inducono anche ad esiti difficili da incasellare secondo criteri definiti: dipende molto anche dal contesto geografico, per cui se sono in Inghilterra cerco di progettare una scelta più « tradizionale », mentre altrove posso permettermi qualche libertà in più . Poi, certamente, mi piace individuare una connessione più o meno sotterranea: per esempio, di recente ho cercato di tracciare un percorso comune di « liquidità e maschere », accostando la Barcarola di Chopin e Miroirs di Ravel a l’Isle joyeuse di Debussy e Davidsbundlertanze; oppure avvicinando pezzi che, pur muovendo da uno stesso « tema » assegnato, restituiscano anche la suggestione di un itinerario armonico.
Restando in tema di Festival pianistici, sempre alla ricerca di novita` e idee, su cosa si potrebbe sperimentare, in futuro?
E` una domanda difficile, perché negli ultimi anni abbiamo effettivamente assistito a una molteplicità di soluzioni che hanno approfondito gli aspetti più diversi del repertorio, dell’interpretazione e anche della provenienza geografica della musica e degli interpreti. Una soluzione, magari apparentemente un po’ forzata, ma che forse trova la sua ragione vincente proprio in questo contrasto, è quella che ho provato un paio d’anni fa all’Accademia Filarmonica Romana, dove la consegna era di inserire un pezzo di un compositore italiano contemporaneo all’interno di un repertorio tradizionale (nel caso si trattava di una maratona pianistica beethoveniana): mi ha personalmente incuriosito e divertito trovare un modo per far dialogare Autodafè di Michele Dall’Ongaro e l’op. 53 e l’op. 110 di Beethoven! A parte questo, avverto una certa necessità (ed è una discussione che spesso rivolgo ai colleghi pianisti della mia generazione) nel cercare di capire la situazione del pianismo di oggi, in un momento in cui, nella liquidità che segna la realtà postmoderna, i contorni delle scuole pianistiche e delle estetiche che hanno caratterizzato nel secolo scorso la storia dell’interpretazione si sono molto attenuati: mi piacerebbe che un festival organizzasse dei momenti di incontro e di dialogo tra pianisti, sul modello di quello che già succede tra compositori.
A Londra, nella prossima stagione, si potrà ascoltare la ricostruzione di un celebre concerto beethoveniano del 1808. Un modo diverso di porsi nei confronti dell’integralià` di un brano musicale. Potrebbe essere una scossa interessante alle nostre abitudini?
Quello che Esa-Pekka Salonen si appresta a fare con la Philharmonia Orchestra a Londra è certamente un’operazione di grandissima suggestione e che in effetti mi sembra non abbia precedenti nella storia recente: tutti noi ci domandiamo quale debba essere stato nel pubblico l’effetto di sentire per la prima volta capolavori quali la Quinta e la Sesta Sinfonia, oltre che il Quarto Concerto e la Fantasia Corale. Ma è pur vero che si tratta di una « ricostruzione » e che una formula di questo tipo rivesta, com’è giusto, i contorni dell’eccezionalità, e magari sarà di un altro tipo l’effetto che si creerà nel pubblico di oggi, che è aduso a quei capolavori avendoli ascoltati e riascoltati. Mi viene in mente un accostamento un po’ provocatorio: se oggi dovessi riproporre al pianoforte un recital di Michelangeli, il timore è di ricevere, se tutto va bene, l’accusa di storicismo, più facilmente quello di essere arrogante. La liturgia del concerto ha certamente qualcosa di sacro che va assolutamente conservata e direi anzi propagandata, ma che deve sposarsi e declinarsi con un mondo che cambia a una velocità rapidissima: anche il concerto di Londra sarà eseguito su un pianoforte moderno e l’organico dell’orchestra non sarà di sicuro quello del dicembre 1808!
Spostandoci in avanti di un secolo e piu`, avrebbe senso, ormai, un festival pianistico di soli autori contemporanei?
Credo di no, e la ragione sta nel fatto che nei secoli tra Settecento e Novecento è successo qualcosa di irripetibile nella storia, come se alcune anime più sensibili e geniali abbiano lasciato dietro di se´ un’eredità che è come un tesoro con il quale sarà necessario fare i conti anche nei secoli futuri. Guardando anche al mio percorso di studente prima e di interprete poi, devo dire che la forza anticipatrice di questo grande repertorio è la possibilità di capire, a volte molto prima che te lo insegni la vita, alcune sfumature di quello che possiamo provare, perché spesso la musica non racconta la realtà, ma la invoca.
Quali nomi sarebbe logico inserire, tra i compositori degli ultimi sessant’anni, in maniera continuativa nei programmi?
Limitandomi ai compositori che sono esistiti e restando alla scrittura per pianoforte, direi certamente Ligeti, Barber, Boulez, Berio: senza volerne dimenticare altri che sono più frequenti nel repertorio attuale quali Shostakovich, Stravinski, Messiaen, Britten, Hindemith.
Le incisioni discografiche abbracciano un repertorio sterminato, ma riservano ancora piacevoli sorprese. Come è nata la scelta del CD dedicato a Medtner?
Quasi per caso: lo conoscevo per aver ascoltato l’incisione di Richter della popolare Sonata Reminiscenza – che poi ho incluso nell’album – e qualcuno dei suoi Fairy Tales nelle interpretazioni di Horowitz e di Hamelin. Poi, su suggerimento di Sergey Babayan, ho scoperto i suoi concerti per pianoforte e orchestra (purtroppo poco eseguiti) e me ne sono innamorato: cosı`, dal momento che l’etichetta inglese SOMM per cui ho inciso il CD era alla ricerca di un repertorio che non fosse stato ancora frequentato, ho pensato che potesse essere una scelta valida e un po’ controcorrente.
Oltre alla musica, come ama occupare il tempo libero?
Direi che sono un inguaribile sedentario, e altrettanto inguaribile tifoso dell’Inter e della Ferrari: la Formula Uno, da giovane liceale, mi faceva fare le alzatacce mattutine per guardare il gran premio, durante il grande periodo di Schumacher. Diciamo che adesso, tanto per l’una quanto per l’altra, è più una scelta di vita votata all’opposizione. Seguo molto anche i programmi di cucina (un inconsapevole e probabile risarcimento morale alle mie scarsissime doti in cucina), per cui, se sono all’estero impossibilitato a guardare la puntata, in attesa di recuperarla, arrivo all’isolamento pur di non farmi spoilerare la puntata dagli altri.
Emanuele Amoroso
Musica n° 305 , aprile 2019
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