Il direttore americano Andrew Litton (da noi già ascoltato meno di due anni fa al Teatro Verdi di Firenze per un concerto della 33a edizione di “Incontri in Terra di Siena”) si presenta con un curriculum di tutto rispetto, conseguito nel corso di vari decenni, infatti la sua carriera è iniziata alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso e si è svolta soprattutto in America. La grande esperienza e il solido mestiere non gli fanno certamente difetto, e sono le caratteristiche più evidenti nella sua concertazione e nel suo modo di dirigere anche di questa serata fiorentina di cui rendiamo conto, serata che giunge dopo una breve tournée regionale nella quale il concerto ha toccato Figline, Poggibonsi e Pisa. Nell’occasione collabora con lui il pianista Alessandro Taverna, veneto quarantenne, alle prese con uno dei pilastri del repertorio per strumento e orchestra, il Concerto n. 1 op. 15 di Johannes Brahms.
L’introduzione orchestrale del primo movimento Maestoso del concerto brahmsiano fa subito intuire che il direttore più che alle sottigliezze avrebbe badato al sodo, mentre Alessandro Taverna si presenta col suo pianismo di estrazione lirica, intelligente e sensibile. Mano a mano le cose sembrano in parte assestarsi, ed abbiamo un secondo tempo Adagio dove il pianismo di Taverna trova i suoi accenti migliori, con bei colori e fraseggi ricercati. Il pianista sembra così voler andare per la sua strada, che solo in parte coincide con le intenzioni di un direttore che al contrario non va troppo per il sottile, anche se nell’ultimo movimento Rondò, allegro non troppo ci è parso di cogliere un maggiore equilibrio ed uno stimolarsi a vicenda da parte dei due musicisti. Fedele al suo modo di porgere molto lineare, Taverna esegue anche un bellissimo bis, un’aria bachiana trascritta per pianoforte da Egon Petri.
Nella seconda parte della serata, con la Sinfonia n. 5 op. 107 di Felix Mendelssohn detta “La Riforma” (composta nel 1830 in occasione del 300° anniversario della Confessione di Augusta) la direzione di Litton sembra trovare una maggior efficacia ed appare assestarsi su un medium più composto e interessante, con momenti accurati e raffinati, salvo lasciarsi prendere un po’ la mano nel movimento finale (quello della citazione del corale luterano Ein feste Burg ist unser Gott, ma la cosa è quasi inevitabile). Nel complesso Litton mostra una routine piuttosto accettabile, che mette in rilievo le prestazioni dei professori dell’Orchestra della Toscana che nel suo complesso si è comportata piuttosto bene. Il pubblico abbastanza folto del Teatro Verdi ha riservato grandi applausi per tutti.
Fabio Bardelli
La recensione si riferisce al concerto del 29 marzo 2023
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