Review: Le geometrie cameristiche di Alessandro Taverna e il Quartetto Bennewitz (Nonsolocinema)

Mentre la stagione musicale del Teatro G. Verdi di Pordenone si prepara al grande concerto conclusivo con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, tra i molti gli eventi che ne hanno  accompagnato il corso si è appena concluso il progetto dedicato al Quintetto. Distribuito in quattro appuntamenti sotto un unico titolo, Geometrie musicali ha visto alcuni tra i più importanti interpreti della scena internazionale odierna prendersi una piccola pausa dal proprio ruolo di solista per cimentarsi in un inedito progetto cameristico. È questo il motivo dell’incontro tra Alessandro Taverna e il Quartetto Bennewitz, impegnati nel Quintetto di Shostakovich e in quello op. 34 di Brahms, due capolavori assoluti del repertorio cameristico come tiene giustamente a precisare il critico Angelo Foletto nella sua introduzione all’ascolto.

Sin dalle prime note del lento Preludio del Quintetto di Shostakovich, il pianoforte non accenna mai ad imporsi sull’equilibrio sonoro innescato dal quartetto d’archi ma si innesta al suo interno alla continua ricerca di vitali motivi di coesione. Non è sua intenzione sovrastarne l’andamento, al contrario, lo accompagna in comune accordo tra le parti. Così il suono di Taverna non corre mai il rischio di manifestarsi in volumi eccessivi laddove si richiede un forte, piuttosto ne calibra la densità della natura sonora, arrivando a caricarla di una drammaticità penetrante. Il suo pianismo sembra correre sul filo della spontaneità, della naturalezza, sempre chiaro e presente in tutte le sue cangianti manifestazioni timbriche. Non richiede al Quartetto di trattenersi, casomai ne misura continuamente i rapporti nel gioco di ruoli che la musica di Shostakovich richiede, persino nello Scherzodove l’impegno strumentale abbraccia passaggi di euforico virtuosismo, che ora rischia di passare inosservato poiché accolto in quanto motivo fondamentale alla narrazione musicale, lontano da qualsiasi tentazione esibizionistica.

Il Quintetto di Brahms ripone così il suo carattere eroico al servizio di una rinnovata dimensione intima a partire dal primo movimento, irradiato da venature tendenti al passionale quanto al malinconico, spesso declinate in continua successione. All’apparente leggerezza dell’Adagio si aggiunge lo Scherzo, attento a ritrovare il suo slancio definitivo sulla soglia del registro grave. Sulla scelta interpretativa adottata dai cinque musicisti, il carattere contemplativo del Finale si riversa infine sull’opera al punto da ridimensionarne l’intero assetto. Se ne accorge anche il pubblico, la cui euforia viene ripagata con lo Scherzo dal Quintetto op. 81 di Dvořák come fuori programma.

 

Alberto Massarotto

 

Le geometrie cameristiche di Alessandro Taverna e il Quartetto Bennewitz

 

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