Il pianista si conferma interprete di classe, inquieto e capace di rivelare dettagli nascosti
Applaudito recital del pianista Alessandro Taverna per il penultimo appuntamento de Il Settembre dell’Accademia, impegnato con un tutto Chopin nella prima parte e da una ripresa ispirata al genere jazzistico. Il segno sotto cui egli ha collocato Chopin sembra essere l’inquietudine in virtù di un fraseggio animato da repentini scatti e altrettante repentine sospensioni. Emerge una vitalità di sapore popolare, evidente per esempio nelle sferzate ritmiche e nelle acciaccature del Valzer in mi bemolle maggiore nel quale si resta sorpresi da autentici incanti timbrici. Con un approccio simile alcune finezze finiscono però per perdersi, ma senza dubbio ne guadagna la naturalezza ritmica. Alessandro Taverna è però un pianista di gran classe, inquieto e inappagato, capace di rivelare all’ascoltatore i dettagli più nascosti di una pagina, come mostrano certi controcanti e un non disprezzabile preziosismo timbrico.
E quanto il suo Chopin sia variegato, mosso e umbratile, lo rivela l’Andante spianato e la grande Polacca brillante dell’op. 22, sotto la cui superficie si agita continuamente un fuoco sottile. Andrebbe detto che il pezzo -pur fra i più brillanti ed elettrizzanti che si possano immaginare, arricchito da una ornamentazione raffinatissima- non è forse il terreno più adatto per un approccio così inquieto e il rischio è quello di restare a metà del guado tra la stilizzazione da salotto ed una robusta vitalità di vaga matrice. Risultano allora più a fuoco i due Notturni dell’op. 9, colti nella loro instabilità sentimentale, con una prospettiva lontana da ogni sublimazione consolatoria.
Nella seconda parte il concertista aggredisce con suono e piglio strabiliante i dodici Songs gershwiniani, in cui ipnotizza per virtuosismo, precisione e libertà interpretativa, proprio come vuole sia l’esecuzione di una partitura, a metà fra la libertà voluta dal linguaggio jazzistico ed il rigore imposto dall’esecuzione classica. Lo stesso vale per i due Studi da concerto op. 40 di Kapustin e i quattro tempi dal Play Piano Play di Guida, un interprete ineguagliabile, che attorno ai classici coltivò un costante interesse per il jazz, unendolo spesso nei suoi stessi concerti. Taverna chiude infine il suo recital con la stupenda Rapsodia in blue di Gershwin, che è sempre quella sorta di concerto per pianoforte e orchestra che sa ammaliare ogni pubblico, reso plausibile da una grande pulizia esecutiva. • g.v.
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