Al Festival Pianistico applaudito omaggio a Clara Wieck, Robert Schumann e Johannes Brahms. Al Teatro Grande mutano rapidamente le atmosfere: dal lirismo iniziale a un clima tempestoso, da sussurri a sonorità quasi sfacciate, con una vena fantasiosa.
Tre pianisti ma una sola famiglia per il concerto di Alessandro Taverna ieri sera al Teatro Grande per il Festival Pianistico: Clara Wieck, il marito Robert Schumann e l’amico fedele Johannes Brahms riuniti in un programma scelto proprio per mostrarne le caratteristiche musicali più amate. Per questo Taverna, a sua volta un autentico talento pianistico, ha iniziato con due brani di Clara Wieck che qui dimostra di non essere evidentemente «solo» un’eccellente e leggendaria pianista: sapeva impugnare sapientemente la «penna musicale». Così la serata è iniziata con l’irruente e tambureggiante primo tema del suo Scherzo n.1 in re minore op. 10, del quale non a caso l’autrice annota «con passione» sulla partitura, ma capace di placare quel fuoco con un’impagabile leggerezza nella parte centrale del pezzo. E ancora, lo Scherzo n. 2 in do minore op.14 con i suoi grandi arpeggi iniziali e una poetica che a volte ricorda molto da vicino quella chopiniana. Troppo a lungo la figura di Clara Wieck è rimasta all’ombra del geniale marito: l’esordio del concerto di ieri sera con Alessandro Taverna ha reso in modo significativo giustizia a questa eccellente pianista, ma anche compositrice tutta da riscoprire nelle sue deliziose intuizioni.
Poi Humoreske op. 20 di Robert Schumann col suo esordio che ricorda da vicino una Romanza senza parole di Mendelssohn e che rappresenta molto bene il mondo visionario di questo autore. Mezz’ora di musica in cui il paesaggio musicale varia continuamente con una serie di episodi che sarebbe semplicistico etichettare come specchio della tormentata personalità dell’autore. La struttura è stata illustrata con grande sensibilità da Alessandro Taverna che nella prima fase del lavoro, partito proprio dal lirismo iniziale, è ben presto passato a un clima tempestoso, il primo di una lunga serie; proprio la capacità di quest’ottimo interprete di passare da un’atmosfera all’altra, dai sussurri misteriosi a sonorità quasi sfacciate, ha reso l’esperienza di questo Humoreske op. 20 sicuramente il momento più alto – e più complesso – dell’intera serata. Poi, ecco le melodie che hanno reso celebre Johannes Brahms, a partire da una selezione di sei Danze Ungheresi amatissime fin dal loro apparire e qui presentate nell’impervia versione per pianoforte solo (l’originale era per pianoforte a quattro mani). Ma Taverna è riuscito a rendere in «modo sinfonico» l’irruenza caratteristica di questi brani, alternata agli improvvisi rallentamenti tipici della tradizione popolare ungherese, specialmente nell’Allegro molto della prima, per arrivare trionfalmente al celeberrimo Vivace della sesta. Non era finita qui, naturalmente: ci attendeva di Brahms ancora un vero e proprio monumento musicale con le Variazioni su un tema di Paganini op. 35, quelle che Clara Wieck non volle mai eseguire perché le riteneva – smentita in pieno ieri sera – non adatte per un concerto. Certo aggiungere virtuosismi -pianistici – a quelli violinistici del Capriccio n. 24 op. 1 del Genovese poteva sembrare un azzardo, ma con bravura Alessandro Taverna ha brillantemente affrontato e vinto la titanica sfida, applauditissimo alla fine.
Luigi Fertonani
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