Trieste – Teatro Verdi : terzo concerto della stagione sinfonica
Paolo Bullo
Dopo Giuseppe Albanese, che la settimana scorsa si è cimentato in brani del tardo romanticismo, un altro pianista è stato protagonista del concerto nell’ambito della stagione sinfonica: Alessandro Taverna, impegnato in due brani di Maurice Ravel, uno dei compositori più noti del Novecento.
Paolo Longo, che della musica del secolo scorso è raffinato conoscitore ed esecutore, ha scelto per completare il programma altri due autori della stessa epoca: Claude Debussy e il meno conosciuto Albert Roussel.
I due concerti per pianoforte e orchestra di Ravel non potrebbero essere uno più diverso dall’altro, eppure, a ben guardare (e ascoltare), sono complementari. Sembrano le due facce della stessa medaglia e a fare da trait d’union tra le due composizioni è un certo gusto jazzistico presente in entrambi i brani. Peraltro, la passione di Ravel per il jazz è notoria e traspare anche in altre sue pagine.
Alessandro Taverna è parso a proprio agio nell’ardua scrittura raveliana, che alterna momenti di virtuosismo quasi parossistico in un contesto spesso cupo e ostico, soprattutto nel concerto in re maggiore, ad altri in cui emerge un lirismo disteso e sognante, com’è il caso del concerto in sol (secondo movimento, adagio assai). Inoltre, e non è circostanza da sottovalutare, il suono è cristallino e pulito, nitido.
Entusiasmante e appropriato il bis, dedicato al genio “scandaloso” di Friedrich Gulda.
Ottima l’intesa con l’Orchestra del Verdi, che Paolo Longo ha guidato con la consueta precisione e grande generosità nelle dinamiche e in cui, nell’ambito di una bella prova di tutte le sezioni, si sono distinti legni, fiati e percussioni.
La seconda parte del concerto è cominciata con Jeux, poème dansé di Claude Debussy.
Si tratta di una pagina musicale di difficile definizione, forse perché nata per un balletto, in cui si riconosce solo a tratti lo stile del compositore francese. La sensazione è quella di una certa frammentarietà e di una scarsa energia empatica, come se la musica risentisse delle difficoltà di relazione – documentate – di cui l’Autore soffrì durante la genesi del lavoro.
Di là di queste che rimangono sensazioni personali, è stata eccellente la prestazione dell’orchestra triestina che, grazie all’amorevole direzione di Paolo Longo, è risultata compatta, equilibrata e al contempo capace di evidenziare le peculiarità timbriche di tutte le sezioni.
La serata si è chiusa con un brano di esecuzione piuttosto rara, e cioè la Suite n.2 op.43 (Bacchus et Ariane) di Albert Roussel. Ascolto, anche questo, piuttosto impegnativo, in cui – come scrive lo stesso Longo nelle note di sala – sono presenti passaggi di alto virtuosismo per ogni sezione dell’orchestra.
Ho trovato splendida la prestazione degli archi e notevole ma, ripeto, piuttosto ardua all’ascolto, la convivenza tra gli episodi distesi (l’incipit) e quelli più contrastati (Baccanale), come se il denominatore comune della composizione fosse una voluta disarticolazione.
In ogni caso il pubblico, per fortuna piuttosto numeroso e che contava su una discreta presenza di giovani, ha apprezzato la serata e applaudito tutti i protagonisti.
La recensione si riferisce alla serata del 20 settembre 2019.
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